Light & Dark

Dopo "La parola di Dio" torna sulle pagine del Planet's un nuovo thriller di the jok3r

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  1. the jok3r
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    CAPITOLO NUMERO UNO

    “Who is…”, “Chi è…”, “Who is…”, “Chi è…”…
    Queste due semplici paroline risuonano da giorni nella mia testa, mi tormentano. Non mi lasciano vivere, non mi lasciano dormire, non mi lasciano pensare. Ma allo stesso tempo non mi permettono neppure di smetterla di pensare. Dannazione.
    “Who is…”, “Chi è…”…
    Ne ho visti parecchi di omicidi nella mia vita, durante la mia carriera. Ho visto parecchi cadaveri, scene raccapriccianti, scene che soltanto a raccontarle farebbero venire la nausea a qualsiasi persona con una sana percezione della realtà. Eppure sono passato sopra a tutto e tutti, sopra ai malori, sopra ai cattivi pensieri, ai sospetti ed ai sospettati, per giungere sempre lì, allo stesso punto perseguito da tutti e raggiunto da pochi: la soluzione del caso.
    Ho risolto casi intricati, casi che sembravano irrisolvibili ai più, casi ormai dati per irrisolti. Casi sui quali i più famosi detective del paese si sono arrovellati giorni e giorni senza arrivare a nulla; teorie, supposizioni, azzardi, ma mai uno straccio di prova. E poi arrivavo io. Ed il caso era risolto, un battito di ciglia, un colibrì che si libbra nell’aria. Palese, lampante. La soluzione pareva così ovvia ai miei occhi.
    E allora? Cosa sta succedendo questa volta? Cosa mi sta accadendo? Perché non riesco ad arrivare a niente? Perché non riesco a capire?
    Il caso sembrava facile finché… finché il dottor Smith non ha rimboccato quella dannata manica…

    «Agenti Eagle, Krug, il cadavere è al piano di sopra.»
    La solita accoglienza del sovrintende Lawliet, il nostro capo. Dritto al punto, senza preamboli, senza troppi giri di parole. Io ed Ector Krug eravamo, e siamo tutt’ora, agenti della polizia. Ma la nostra formidabile intesa ci ha permesso di scalare le graduatorie in centrale, ed oramai da parecchio tempo il sovrintendente Lawliet vuole che in prima persona lo affianchiamo nelle indagini. Un bell’onore per due semplici agenti.
    Undici anni di carriera l’uno accanto all’altro, centodiciassette crimini, centosedici casi risolti. Una buona media, tutto sommato. Solo una volta non siamo arrivati a trovare un colpevole certo, un buco nell’acqua: un anno dopo si è però scoperto che l’uomo che cercavamo si era suicidato portando con sé una lettera d’addii e scuse.
    Non era esclusivamente merito nostro, chiaramente, ma diciamo che noi avevamo contribuito in buona percentuale durante ogni indagine. Poi ovviamente sapere che quando non fossimo riusciti da soli a risolvere il caso ci avrebbe pensato il detective Light ci garantiva una certa tranquillità e libertà d’azione…

    Questo caso, inizialmente, si era presentato come un – si fa per dire – semplice omicidio.
    La villetta in cui si era consumato il delitto si presentava in perfetto ordine. Non un soprammobile fuori posto, un oggetto che potesse dare l’impressione di essere stato spostato dall’originaria collocazione, anche soltanto un insignificante dettaglio che avesse richiamato la nostra attenzione. Perché certamente, se ci fosse stato, io l’avrei notato.
    L’unica evidente traccia del reato commesso era una scia di sangue lungo il pavimento che tracciava a terra il percorso seguito dalla vittima dal momento in cui il suo carnefice aveva varcato la soglia dell’appartamento a quello in cui lo stesso aveva sferrato il colpo di grazia.
    Una scia che aveva origine nell’atrio della villetta, pochi passi più avanti della porta d’ingresso, percorreva un corridoio di pochi metri, svoltava in soggiorno, da qui si inerpicava su per le scale e terminava infine nel bagno, al secondo piano della villetta, dove giaceva anche il cadavere dell’uomo.
    Arthur Luis, la vittima, era stato freddato da tre colpi di pistola dritti alla schiena, prima che riuscisse a barricarsi all’interno del bagno nella speranza che la furia omicida del suo assassino si placasse. Ma non aveva fatto in tempo a chiudere la porta dietro di sé. Un primo proiettile – presumibilmente sparato nell’ingresso - doveva averlo ferito concedendogli comunque la possibilità di fuggire, e questo spiegava il perché della scia di sangue a terra. Soltanto i successivi due colpi, sparati invece al secondo piano, gli erano stati fatali.
    Le indagini erano apparse abbastanza semplici. La dinamica non era certo delle più contorte. Con una rapida analisi all’interno della villa sia io, che Ector, che il sovrintendente Lawliet eravamo certi di aver capito come si era svolto l’omicidio. Non vi era tra l’altro alcun segno d’effrazione, né sulle finestre che davano sul giardino al primo piano, né sulla porta d’ingresso. Per pura malizia, sebbene scettici all’idea, avevamo controllato anche tutte le finestre del piano superiore: logico a dirsi, niente di sospetto.
    Il signor Luis inoltre si trovava da solo a casa al momento dei fatti, quindi l’assassino era stato lasciato entrare in casa dalla vittima stessa. Un amico, un conoscente, un parente, va a sapere.
    E chi che fosse, quest’ultimo doveva possedere un’arma, una pistola avevamo azzardato ancora prima del responso dell’autopsia. Ed infatti il referto ci avrebbe di lì a poco dato ragione: una calibro 9 mm. Un’arma piuttosto semplice da reperire, ma che comunque richiedeva un regolare porto d’armi per essere posseduta.
    La quadratura del cerchio pareva essere ad un palmo di naso da noi: Arthur Luis era stato ucciso da un conoscente in possesso di un’arma. Con un simile filtro a scremare gli indiziati, i possibili sospetti sarebbero ricaduti su una persona, al massimo due. La soluzione era dietro l’angolo insomma.

    Purtroppo però, il referto redatto dal medico legale Albert Smith non aveva soltanto confermato la supposizione che avevamo avanzato fin da subito sull’arma del delitto, ma aveva portato alla luce anche un altro dettaglio.
    Quello cruciale.
    Quello che mi avrebbe tolto il sonno da lì a poco.
    Quello al quale accennavo prima di riportarvi il resoconto sull’omicidio.
    Rimboccando la manica del maglione ancora indossato dalla vittima in obitorio, spogliandola per procedere all’autopsia, Smith non aveva potuto fare a meno di notare che sul braccio destro del cadavere era stato letteralmente inciso qualcosa. Una scritta.
    Quella scritta.
    “Who is…”, “Chi è…”. Una lama di un millimetro aveva ricamato le cinque lettere sulla pelle di Arthur Luis.
    E questo dettaglio, che poi definire tale non è certo professionale, essendo il nodo cruciale di tutta la vicenda, aveva distrutto ogni nostra supposizione.
    Non aveva senso ipotizzare che un conoscente di Luis facilmente rintracciabile iniziasse a giocare con la polizia incidendo una scritta sulla propria vittima.
    Quella scritta doveva significare qualcosa di più. Una sorta di sfida, oserei dire. Una sfida alla polizia.
    E quei puntini di sospensione non potevano che preannunciare il peggio. Non potevano essere casuali. Ed il loro significato era quantomeno scontato.

    Riemergo dai miei ossessivi pensieri richiamato dalla suoneria del mio cellulare. Guardo il display. “Sovrintendete Lawliet”. Mi stupisco, non è cosa abituale ricevere una telefonata da lui in persona. Solitamente quando deve comunicarci qualcosa ci informa attraverso la segreteria della centrale.
    «Agente Eagle, la contatto in merito al caso Luis. Come ben saprà le indagini si sono arenate.»
    «Sovrintendente, ne sono al corrente, ma nonostante ciò con l’agente Ector Krug stiamo continuando a…»
    «Lasci stare, mi ascolti. Ho già parlato con il suo collega. Contatteremo Light. È deciso.»
    Rimango basito. Non mi aspettavo questa mossa da parte del mio capo. Significa che la situazione è peggiore del previsto, e che la mia preoccupazione è ampiamente condivisa. Non vi sono altre interpretazioni, quando si decide di affidarsi a Light.
    Contattare nuovamente il detective Light, il misterioso salvatore di ogni indagine in bilico fra l’essere abbandonata e l’essere archiviata con un innocente dietro le sbarre, è una mossa azzardata a questo punto dell’indagine, di fatto appena cominciata e già terminata.
    Mai nessuno è riuscito a vedere Light in volto, a parlargli di persona. Più che un collega è ormai considerato un’entità, un essere superiore in grado di risolvere ogni nostro problema.
    Quando le indagini non sembrano presentare sbocchi, il sovrintendente Lawliet lo contatta, e se quest’ultimo si mostra interessato al caso i giochi sono pressoché chiusi. Magari non all’istante, ma tutti quanti sappiamo che un caso che passa nelle sue mani verrà risolto nell’arco di poche ore.
    Quale sia il suo metodo per indagare nessuno lo conosce né riesce ad ipotizzarlo.
    L’attenzione sulle varie scene del crimine è massima da parte di tutti all’interno del corpo della polizia, non vi sono agenti meno scrupolosi di altri sul lavoro.
    Abbiamo la totale certezza che nessuno al di fuori del personale abbia mai avuto accesso alle locazioni incriminate, così come a tutto il materiale in mano alla polizia il quale non lascia mai la centrale, se non quando viene inviato ai laboratori della scientifica per le necessarie analisi. Ma anche in quel caso, nessuno può avere accesso a quel materiale previa autorizzazione del sovrintendente o chi per lui. E anche chi ottiene quest’autorizzazione, può avere accesso al materiale in oggetto soltanto sotto stretto controllo.
    In poche parole, il detective Light non è mai stato visto da nessuno e non ha mai partecipato attivamente alle indagini, né è mai entrato in possesso di materiale riservato o di una particolare rilevanza. Niente. E’ sempre rimasto completamente estraneo alla polizia, alle sue indagini ed a tutto ciò che le compete. Eppure quando il sovrintendente Lawliet lo contatta, in qualche modo Light ha già in mano la soluzione del nostro caso.
    «Agente Eagle, è ancora in linea?»
    «Certo sovrintendente, soltanto non…»
    «Poche parole. La decisione è già stata presa. Volevo soltanto informarla che il caso deve considerarsi chiuso. Buona giornata.»
    Vengo liquidato così. Il sovrintendente riattacca la cornetta all’altro capo e io resto con il fiato delle parole che avrei voluto dire strozzato in gola.

    «Who is… Who is…»
    Vago per casa ripetendo fino all’esaurimento queste due parole di per sé insignificanti, ma terrificanti se inserite nel contesto in cui le ho collocate con le mie poche e vaghe supposizioni.
    Quei maledetti puntini di sospensione presuppongono un proseguo degli omicidi.
    “Who is…”, “Chi è…”. Sì, ma chi è a far cosa?, è la domanda che mi tormenta.
    Temo che presto avremo da indagare su una nuova vittima ed una nuova scritta. Ho questa sensazione, ne sono certo. E se ne sono certo io c’è da preoccuparsi.
    Ci troviamo davanti all’inizio di una catena di omicidi seriali. Forse sono soltanto paranoico. Ma temo di non sbagliarmi. D'altronde, se mi sbagliassi in queste semplici deduzioni non sarei chi sono veramente.
    “Who is… Who is…”
    Se non le ripeto ad alta voce queste paroline mi risuonano nella mente, mi assordano da dentro, mi impediscono di pensare a qualsiasi altra cosa, di ragionare lucidamente per provare a trovare uno sbocco in questo enigma tanto banale quanto intricato.
    Da chi cominciare ad indagare? Quale pista seguire? Quali tesi avvalorare e quali invece scartare sin da principio?
    Certo, trovare un possessore di una calibro 9 mm fra i conoscenti di Luis sarebbe facile, ma poi? Come giustificheremmo quell’incisione?

    Nuovamente squilla il cellulare. Questa volta me ne felicito quasi. Se non altro quando qualcosa riesce a richiamare la mia attenzione per un attimo posso distrarmi da quel pensiero fisso, da quel sintagma che si è impossessato della mia mente e che non riesco a cacciare in alcun modo.
    Sullo schermo del cellulare è visualizzata la dicitura “Agente Krug”. Sorrido divertito. Dopo undici anni di carriera insieme, quello che ormai senza alcun dubbio posso definire come il mio migliore amico è ancora memorizzato in rubrica con un nome così formale.
    «Ector, dimmi.»
    «Scommetto che ti stai ancora spremendo per quella scritta.»
    «Nessuno mi conosce bene quanto mi conosci tu.»
    «Non sono sicuro di doverlo prendere come un complimento. Ti ha già chiamato il sovrintendente?»
    «Poco fa.»
    «Non siamo messi bene questa volta, vero?»
    Esito prima di rispondere. Calibro le parole. «Ho una brutta sensazione.»
    «Ovvero?»
    «Ne parliamo di persona.»

    Mezz’ora dopo posteggio la mia utilitaria davanti ad un imponente palazzo aristocratico degli anni settanta. Elegante, signorile, con due leoni ai lati del portone che sembrano voler incutere timore a chi dovesse entrare. Fortunatamente per questa volta attendo fuori.
    E non attendo neanche molto, perché qualche minuto più tardi Ector fa capolino fra le due belve feroci, sale in macchina e ripartiamo.

    Quando dobbiamo parlare di lavoro io ed Ector andiamo sempre nello stesso posto. C’è una sorta di altopiano poco fuori città dal quale durante la notte si vedono tutti i palazzi illuminati poco più basso, piccoli ma neanche troppo distanti. È un bello spettacolo, suggestivo. Favorisce la concentrazione, la riflessione.
    E noi ci allietiamo il tutto con qualche sigaretta. Fumare fa male, ma spesso fa meno male che pensare troppo. E poi dopotutto ad ognuno i suoi vizi, dopo una giornata di intenso lavoro siamo giustificati. C’è chi fa di peggio.
    Ector tira fuori dalla tasca del cappotto un pacchetto nuovo sigillato. Lo scarta e me lo porge.
    «No, grazie, ho già le tue.» replico divertito accompagnando il sorriso con un cenno della mano.
    Per una vecchia scommessa Ector da ormai due mesi deve offrirmi da fumare. Sembra roba da poco, ma facendo fuori un pacchetto ogni due, tre giorni è un bella tassa in meno da pagare.
    Prendo l’accendino, accendo le sigarette di entrambi, e possiamo iniziare la discussione.
    «Cosa non volevi dirmi per telefono?»
    «Ho la sensazione che presto avremo per le mani un caso molto più importante di quanto possa sembrare al momento.»
    Fra una boccata di fumo e l’altro scorgo la sua espressione perplessa. Il suo viso è tratteggiato dalle ombre della notte che incombe e la flebile luce della fiamma della sigaretta che tiene fra le labbra. Ma ormai non mi serve neanche guardarlo per capire i suoi pensieri, lo conosco come le mie tasche, probabilmente anche meglio dal momento che sono solito perdere qualsiasi cosa; probabilmente saprei riconoscere l’espressione di Ector avendocelo alle spalle.
    «Avremo altre vittime, secondo me.» lo dico senza preavviso ed è una bella sorpresa per lui. Ma non voglio lasciarlo troppo sulle spine. «Quei puntini di sospensione… Se l’assassino li ha incisi devono significare qualcosa, necessariamente. Immaginati per un attimo di essere tu lì sulla scena dell’omicidio, un cadavere ai tuoi piedi ed un coltello in mano. Hai appena commesso un omicidio. C’è sangue sparso per tutta la casa. Le tue intenzioni sono quelle di sfidare la polizia, e questo è evidente. Per farlo decidi di incidere sulla tua vittima una scritta. È evidente che i puntini di sospensione non siano lì per caso. L’assassino vuole farci capire che colpirà ancora, che quelle parole avranno un seguito. In caso contrario non avrebbe scritto un sintagma incompleto. “Chi è…” a sé stante non vuol dire nulla.»
    Ector ha seguito senza fiatare il mio ragionamento. Ne sembra anche persuaso. Forse perché lui sa davvero chi sono io. È l’unico a conoscermi abbastanza da poter essere certo della correttezza delle mie argomentazioni.
    «E senti» aspira una boccata di fumo prima di ribattere «hai idea di chi potrebbe essere la prossima vittima?» e soffia nell’aria una nuvola scura.
    Non rispondo, mi limito a scuotere la testa contrariato. A riguardo effettivamente non ho idee. Ed è qui che tutto il mio nervosismo per la faccenda riemerge. Non sono abituato ad avere dei dubbi quando indago. Non ne ho mai avuti, ho sempre risolto brillantemente tutti i casi sui quali la polizia si era arenata, e l’ho sempre fatto con estrema facilità. Perché il mio genio improvvisamente sembra scomparso? Dove si è nascosto?
    Dopo un altro tiro alla sigaretta inizio ad avvertire un certo fastidio alla testa. Come due dita, una a destra ed una a sinistra, che mi premono sulle tempie. Sarà il freddo di questa serata autunnale, sarà il nervosismo latente.
    Ho bisogno di calmarmi e riposare. Penserò domani ad una nuova strada per proseguire le indagini.
    «Rientriamo Ector, ho bisogno di dormire un po’.»
    «Come vuoi Sean. Andiamo.»
    Torniamo verso la macchina. Ci piace venire su questa sorta di terrazza che dà sulla città perché nessuno la conosce e la strada si ferma proprio a due passi, quindi quando per qualche ragione dobbiamo andarcene velocemente, vuoi un inconveniente, vuoi il lavoro che chiama, vuoi quel che vuoi, un attimo e siamo per strada.
    Infatti tempo di dirvi questo ci siamo già lasciati alle spalle parecchio metri, diretti verso casa.

    Ector scende dall’auto e si chiude la portiera alle spalle. Poi però sembra tornare sui suoi passi e la riapre appena, quel tanto che gli basta per sporgersi all’interno dell’abitacolo. Ha ancora qualcosa da domandarmi, glielo leggo negli occhi nonostante il buio tutt’attorno.
    «Quindi cosa dirai a Lawliet quando ti contatterà?»
    «Francamente non ci ho ancora pensato. Ma non potrò dirgli molto per il momento. Mi limiterò a prendere tempo.»
    Ector trattiene a stento una risata. Deve aver pensato qualcosa di stupido perché non riesce a contenersi. Poi mi guarda. «Ma tu riesci ad immaginartela la faccia del sovrintendente attaccata al telefono quando verrà a sapere che questa volta non ha idee neppure…»
    Ci scambiamo una rapida occhiata d’intesa, ci sorridiamo divertiti reciprocamente.
    «… neppure il fantomatico detective Light?!»

    Scuoto le spalle, rimetto in moto.
    «Troverò le risposte giuste anche questa volta, non temere. Le indagini di Sean Eagle possono arenarsi, quelle di Light no.»
    «E’ vero. Ma tu… Tu chi sei in questo momento?»
    Esito. Sono di nuovo in difficoltà.
    «Effettivamente questa è una bella domanda. Forse prima di dedicarmi alle indagini vere e proprie dovrei rispondere a quest’interrogativo.»

    PS. sì, due nomi di questa nuova serie li ho presi da un anime poco famoso e che ha saputo conquistare credo soltanto me, non è il caso di ribadirlo in ogni commento che seguirà.. per il resto, le citazioni a suddetto sconosciuto anime si esauriscono con i soli due nomi :) buona lettura :)


    Per chi non l'avesse fatto a suo tempo, non posso che consigliare anche la lettura del precedente thriller "La parola di Dio", che trovate qui: https://yugiohplanet.forumcommunity.net/?t=42444642
     
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