Yu-Gi-Oh! La Catena dell'Inesistenza

[AVVENTURA][COMICO][SERIO][VM 13]

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  1. Xivren
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    Buonasera cari lettori.
    Mi scuso se la scorsa domenica non ho pubblicato il capitolo: siccome eravamo all'apice delle vacanze pasquali contavo di avere tutto il tempo per scrivere in pace, mentre invece tra pranzi, famigliari, cioccolata e mille altre cose mi sono ritrovato praticamente tutta la settimana occupata. Inoltre, siccome questo capitolo non è stato dei più semplici da realizzare, mi ci è voluto molto più tempo del previsto.
    In ogni caso non perdiamoci in altri discorsi e tuffiamoci nel passato, precisamente nel passato di Gren e di Louis quando si incontrarono per la prima volta.
    Vi auguro buona lettura, dunque.


    CAPITOLO 54 – LA GENESI DEGLI IBRIDI

    Domenica 07 Giugno - Ottanta anni prima - Praga, Impero di Sonsuza

    “Uhm... Ho un déjà-vu di questa scena...” commentò pensieroso l'Imperatore, massaggiandosi ripetutamente il mento. “Quando attaccammo l'universo dei Vermi trovammo un panorama simile, in effetti...” aggiunse, sollevando poi lo sguardo.
    Il cielo che si presentò alla vista dell'Imperatore era bianco, completamente bianco, eccezione fatta per quelle che sembravano essere delle crepe nerastre a centinaia di migliaia di metri in altitudine. Dei globi minuscoli di luce, sempre bianca, cadevano dal cielo come fiocchi di neve senza dar segno di doversi interrompere, ed ogni volta che toccavano una superficie solida si disperdevano senza lasciar traccia. Il terreno, fino a perdita d'occhio, era anch'esso diventato bianco, come se tutti i colori fossero spariti, ed era perfettamente liscio e levigato, senza neppur un granello di polvere accumulato. Con regolarità si trovavano colonne di quella che sembrava energia elettrica o luce dorata, disposte secondo i vertici di un pentagono immaginario lungo file immaginarie, che sembravano collegare direttamente la terra ed il cielo data la loro estensione. Alla base di tale colonne, come se attratte dalla loro forza gravitazionale, vi si trovavano frammenti di rocce, case, palazzi, persino automobili, tutto ciò sempre di un bianco più puro della carta.
    L'unica macchia di colore in quello scenario così surrealmente silenzioso ed immobile, dove persino lo scorrere del tempo e l'estensione dello spazio sembravano essere bloccati, era data dai vestiti dell'Imperatore e del gruppo di persone al suo seguito.
    Il primo indossava un'elegantissima tunica nera fino ai piedi, stretta in vita da un'alta fascia grigia con placche d'oro, ed una sottoveste viola scuro con i bordi finemente decorati secondo motivi circolari, e mentre camminava i suoi lunghissimi capelli, dello stesso colore, erano raccolti in una coda dietro la nuca ed ondeggiavano da un lato all'altro. La corona dorata, con le sue sei gemme di colori differenti, risplendeva di gloria e di maestosità, similmente allo scettro che reggeva nella mano sinistra.
    Le altre persone, dietro di lui, avevano un aspetto decisamente meno raffinato. Indossavano tute protettive di colore verdognolo, con un casco trasparente sul volto al cui interno si vedeva una maschera respiratoria attaccata sul loro viso. Sulla schiena sembravano avere delle bombole d'ossigeno per respirare in metallo pressoché trasparente, il quale era lo stesso utilizzato per ricoprire i complessi apparecchi scientifici che reggevano in mano: dall'aspetto sembravano essere dei piccoli computer portatili, ma erano completamente privi di tastiera e proiettavano uno schermo olografico che quelle persone sembravano studiare con molta attenzione.
    “Vostra Maestà... Per quanto le nostre previsioni possano essere imprecise, considerato quel poco che abbiamo potuto rivelare... Il ricambio d'ossigeno di quest'area non dovrebbe presentare alcun problema! Tra circa cinque anni dovrebbe di nuovo essere pienamente abitabile!” dichiarò molto sicura una donna in tuta protettiva, avvicinandosi all'Imperatore e porgendogli i dati che stava studiando.
    Lasyrindes prese in mano l'apparecchio elettronico e, scorrendoci sopra usando il pollice, iniziò con attenzione tutti i valori riportati sullo schermo. “Uhm... Le ricerche di sopravvissuti hanno dato qualche risultato?” chiese nel mentre.
    Un uomo gli si avvicinò, scuotendo mestamente il capo all'interno del casco: “Purtroppo no... A quanto pare ogni forma di vita si è estinta all'interno dell'area dell'esplosione... Non sono stati ancora rivelati superstiti, ma è molto improbabile trovarne! Specie in questa zona, ovvero l'epicentro di tutto...”.
    “Dunque gli unici sopravvissuti sono Gaap, Elger, Inamor ed Isroth... Oh, beh, direi che gli elementi migliori si sono salvati! Le altre perdite non sono poi così gravi, se paragonate a quei quattro!” commentò l'Imperatore, porgendo di nuovo l'apparecchio alla scienziata al suo fianco ed esibendo un largo sorriso di felicità.
    Le persone alle sue spalle rimasero interdette sul posto per diversi secondi a quelle parole, ma guardandosi l'un l'altro ritornarono al seguito dell'Imperatore, con l'uomo di prima che riprese: “Ma sono morti milioni di persone! Ed anche tutta l'equipe di scienziati al seguito di Icero! Abbiamo perso persone valenti come il Dottor Gren, la Dottor...”, ma non riuscì a finire.
    “E quindi? Nessuno di loro è capace come Gaap... Anche quel tale, Gren, non era niente di così eccezionale come lo state dipingendo! Tutti loro possono essere rimpiazzati senza alcuna difficoltà: fossero state menti geniali ed uniche nel loro genere sarei effettivamente d'accordo con voi, ma nessuna di loro rispondeva a tali caratteristiche! Dunque non preoccupiamoci di loro, piuttosto... Questo davanti a noi è molto più interessante!” lo zittì Lasyrindes, voltando il capo verso di lui e squadrandolo con una sufficienza rivoltante negli occhi, per poi riprendere ad avanzare.
    Davanti a loro si stagliava adesso l'unica costruzione rimasta integra in quel paesaggio desolante, ed osservandola dal basso verso l'alto l'Imperatore commentò: “Ah, il laboratorio di Icero... E' strano che l'epicentro del disastro non abbia riportato danni!”.
    Il laboratorio, effettivamente, ad una prima e rapida ispezione era in perfette condizioni: si trattava di un'enorme costruzione dai muri in vetro trasparente, divisi in più sezioni da lastre di metallo nero, che da una struttura circolare centrale si estendevano per cinque lati lunghi circa duecento metri, per poi alzarsi ad angolo retto verso l'alto. Le cinque “torri”, a loro volta, terminavano sulla cima con quelle che, almeno da sotto, potevano sembrare complicate strutture meccaniche simili ad antenne, ognuna collegata all'altra mediante lunghi cavi metallici disposti secondo un reticolato perfettamente simmetrico. Per raggiungere le diverse entrate del laboratorio vi erano apposite rampe di scale in pietra, che circondavano la base della struttura comparendo ad intervalli regolari l'una dall'altra.
    “Vostra Maestà, perché i resti del laboratorio del Ministro Icero vi interessano tanto? Se non erro è stato trovato completamente privo di qualsivoglia forma di vita, eccetto le cavie dei suoi esperimenti!” osservò incerto uno degli uomini al seguito dell'Imperatore, riponendo il suo apparecchio elettronico nella sacca posteriore della sua tuta. Dopo la tremenda risposta dell'Imperatore poco prima nessuno aveva più trovato il coraggio di parlare, ed anche quest'uomo dovette deglutire incerto quando prese la parola.
    Lasyrindes non rispose subito, restando a fissare il laboratorio per diversi secondi in silenzio. “E' proprio quello il problema... All'appello mi mancano due persone, che nonostante i danni di Icero avrebbero comunque dovuto trovarsi all'interno del laboratorio! E mi chiedo proprio dove siano finite...” gli spiegò l'Imperatore riprendendo a parlare, per poi avviarsi verso la rampa di scale più vicina a lui.
    “Ed intendo trovarli ad ogni costo, qui o in qualsiasi angolo dell'Impero!” aggiunse poi con un enigmatico sorriso in volto, a metà tra sadismo e divertimento, mentre alle sue spalle gli scienziati lo seguirono.
    Solo dopo che tutto il gruppo fu entrato all'interno del laboratorio si sentì, da una delle colonne lì vicino, qualcosa che cadeva a terra dalle macerie accumulate. Una voce, molto flebile da essere quasi del tutto impercettibile, mormorò dolorosamente nell'aria: “Io... rimpiazzato? S... Sommo Lasyrindes... Perché?”, per poi spegnersi del tutto.

    ---


    Martedì 09 Giugno - Ottanta anni prima - Praga, Impero di Sonsuza

    “Signore, vi sentite meglio?” domandò il bambino, porgendogli una scatoletta di tonno aperta ed un cucchiaio.
    Un uomo, dall'aspetto stravolto oltre ogni limite, si era appena alzato dalla piccola branda sulla quale era stato disteso. Il viso sconvolto era incorniciato da capelli castani lisci di media lunghezza, eccezion fatta per diversi ciuffi ribelli sulla fronte che sembravano essere disposti a cerchio, ed gli spenti occhi marroni fissavano un punto indefinito del lenzuolo che gli avvolgeva il corpo.
    “Mi sente?” domandò di nuovo il bambino, abbassando il cucchiaio ed il cibo che l'uomo aveva rifiutato. Questi, come se solo allora avesse sentito la voce del piccolo, si voltò lentamente: ciò che trovò davanti a sé fu un bambino di circa dieci anni, dal fisico asciutto e con i corti capelli biondi decisamente spettinati. Indossava una camicia bianca sgualcita in più punti, che gli copriva quasi completamente i pantaloni corti, di colore blu, e non aveva né calze né scarpe ai piedi.
    Non appena l'uomo incontrò lo sguardo del bambino, ed i suoi occhi azzurri, cercò di balbettare qualcosa fuori dalle labbra pericolosamente secche al punto da sanguinare: “Cosa... Cosa mi è successo?”.
    Il bambino appoggiò velocemente la scatoletta di tonno sul tavolino di plastica al suo fianco, e gridò a voce alta: “Oh, per fortuna avete ripreso conoscenza! Vi ho trovato due giorni fa privo di sensi a terra... Finalmente un'altra persona viva, ero talmente contento che non potevo crederci!”.
    L'altro annuì con indifferenza, spostando poi lo sguardo lungo tutta la stanza nella quale si trovavano, e non appena il suo cervello realizzò le immagini che stava vedendo l'uomo sobbalzò. Quel posto era uno dei sotterranei del laboratorio di Icero, usato come magazzino: la stanza, dalla forma rettangolare, presentava una notevole quantità di scaffali metallici sui quali, all'interno di appositi scompartimenti di vetro, vi erano molteplice copie di strumenti metallici dalle forme più disparate. L'uomo riuscì a ricordarseli tutti, seppur con ancora la mente annebbiata a stanca, e notò che tutto lungo il muro alla sua destra erano sistemate brande, cuscini e lenzuola che, ricordò, venivano utilizzate per trasportare i corpi delle cavie di Icero. Che tali corpi fossero morti o vivi, l'uomo ricordò che non aveva mai approfondito, almeno stando a quanto il Ministro gli ordinava.
    “Come siamo finiti qui dentro?” domandò l'uomo, tornado a fissare il bambino al suo fianco lentamente.
    “Ecco... Quattro giorni fa ricordo che in giro c'era un enorme putiferio, con gente che andava e veniva continuamente: anche mio padre, assieme alla nostra servitù, aveva iniziato i preparativi per andarcene da qui il più presto possibile! Mi pare dicesse qualcosa in merito al laboratorio del Ministro Icero, al tradimento e all'Imperatore... Ma io volevo scoprire cosa stava succedendo, così uscii di nascosto dalla nostra villa per dirigermi il più possibile verso il laboratorio! Sapevo dell'esistenza di un piccolo tunnel che portava in questa stanza tramite un complesso , nella quale ero già entrato più volte, e con mia grande sorpresa trovai questo passaggio libero da qualsiasi controllo anche in quelle condizioni... Mentre mi apprestavo ad entrare ricordo di aver visto di sfuggita una luce bianca fortissima spaccare in due il cielo notturno, e poi un'esplosione talmente forte da scaraventarmi direttamente in questa stanza!” cominciò a raccontare il bambino, per poi interrompersi all'improvviso.
    L'uomo notò che il suo respiro si era fatto più lento, ed a giudicare da come si mordicchiava le labbra sembrava aspettare qualcosa con estrema calma, ma i suoi occhi tremavano chiaramente dalla paura: pochi secondi dopo la sua interruzione il bambino cominciò a tossire rumorosamente, sputando anche alcune gocce di sangue mentre il suo corpo si contorceva talmente tanto da costringerlo ad aggrapparsi, con la mano destra, al lenzuolo della branda per non cadere.
    Vedendo il bambino in quelle condizioni l'uomo sembrò improvvisamente recuperare parte delle sue forze, ed allungando il busto verso di lui gridò: “Ehi! Che cosa ti succede!?”, per poi muovere le spalle per estrarre le braccia da sotto il lenzuolo ad aiutarlo.
    Il lenzuolo gli cadde sulle ginocchia, ma ciò che gli rivelò fu talmente orribile da farlo urlare a squarciagola: le sue braccia erano diventate sottili estremità bianche, dall'aspetto simile a rami secchi, e per quanto terminassero ancora con cinque piccole ed appuntite dita erano ormai l'ombra di quanto furono in passato. Inoltre, l'averle piegate per soccorrere il bambino aveva causato alcune crepe all'altezza dei gomiti, dalle quali sgorgavano sottili strisce di sangue rosso.
    “Ma... Ma... cosa mi è successo!? Le mie mani! LE MIE MANI!!!” gridò l'uomo guardandosi ciò che restava delle sue mani, per poi balzare in piedi e cominciare ad indietreggiare bianco in viso, come se volesse allontanarsi dalle sue stesse braccia. Il suo respiro era affannoso, e diverse gocce di sudore freddo gli bagnavano la fronte. Si fermò unicamente quando la sua schiena urtò uno scaffale in metallo, ma ciò non gli impedì comunque di sfuggire a quella tremenda vista.
    A qualche metro da lui l'attacco di tosse del bambino cominciò a placarsi, seppur non completamente, e ciò gli permise di continuare: “Signore, mi scuso per non avervelo detto prima... Quando vi ho trovato in vicino a quel fascio di luce le vostre braccia erano già ridotte così... Vi ho portata qui sperando di trovare qualcosa per aiutarvi, ma non conosco nulla di queste medicine e strumenti: mi dispiace...”.
    Detto ciò il bambino fu nuovamente scosso da un dolore fisico, che lo fece piegare in due sul pavimento in metallo della stanza. Questa volta vomitò anche molto sangue, mentre il viso ormai rosso tentava disperatamente di respirare con regolarità. Le sue piccole mani tramanti si muovevano freneticamente sul suo petto, come se stesse cercando di strapparsi qualcosa da dosso.
    L'uomo, durante il discorso del bambino, era rimasto tutto il tempo a fissare paralizzato le sue braccia, boccheggiando di disperazione frasi e versi insensati. Probabilmente sarebbe rimasto in quelle condizioni per tutto il tempo, se la crisi del piccolo davanti a lui non lo avesse destato dal suo incubo: tornandogli le forze che aveva avuto pochi momenti prima, corse verso di lui e si piegò sulle ginocchia al suo fianco.
    La pediatria non era esattamente la sua specialità, ma davanti ad una persona così dolorante e sofferente qualcosa dentro di lui gli impediva, ogni volta, di darsi per vinto. Quel bambino, rifletté mentre gli sbottonava la camicia, lo aveva salvato da morte certa ed aveva fatto tutto il possibile per aiutarlo: certo, il suo aiuto era stato vano, ma le sue intenzioni no. Si ripromise che, non importa cosa o chi, lo avrebbe salvato a costo di spezzarsi letteralmente le braccia.
    “Resisti! Adesso ti farò stare meglio... Stai tranquillo, piccolo!” lo incoraggiò con forza l'uomo non appena tolse l'ultimo bottone della camicia, spezzandosi però il dito anulare destro che si dissolse per metà in polvere. Ciò che vide lo bloccò per un istante, facendolo deglutire per il disgusto: delle placche bianche, identiche per consistenza e sostanza alle sue braccia, stavano consumando il corpo del bambino, attaccandosi alla sua pelle bianca e, presumibilmente, distruggendola. A giudicare dalla loro estensione e dai danni che il bambino esibiva tali placche dovevano essere arrivate già ad una discreta profondità.
    L'uomo si alzò di colpo, correndo verso gli scaffali in cerca di ogni cosa che potesse aiutarlo a salvare il piccolo. Mentre digitava il codice elettronico per aprire le teche in vetro, e danneggiandosi ancora di più le braccia, realizzò ciò che probabilmente era successo: il suo corpo versava in quelle condizioni perché era stato a contatto con quella colonna di luce, che doveva quindi aver intaccato le sue braccia in maniera ormai irreversibile. Il bambino invece non era entrato a contatto con quella luce se non per pochi istanti, prima che l'esplosione di cui aveva accennato lo scaraventasse dentro il laboratorio mettendolo al sicuro: se così era, allora quei pochi istanti erano stati sufficienti ad intaccare lentamente il suo corpo. Tradotto, rifletté con amarezza, quel bambino versava in tali condizioni da quattro giorni.
    Davanti a sé aveva tutti gli strumenti e le risorse per togliere quelle placche dal corpo del bambino, ma non aveva nulla con cui terminare il trapianto. La sezione frigorifera in cui vi erano gli organi e le parti del corpo per i trapianti era dall'altra parte del laboratorio, e se anche fosse riuscito a raggiungerla senza intoppi il tempo avrebbe avuto la meglio sul bambino.
    “Merda... Merda!” imprecò tra i denti l'uomo mentre passava da uno scaffale all'altro, senza trovare nulla. Arrivato al fondo della stanza stette quasi per gettare la spugna, consapevole della sua impotenza e del fatto che ormai le sue mani erano praticamente sbriciolate, quando notò quella che sembrava una cassaforte nera nel muro. Questa era protetta da uno schermo nero su chi era presente una tastiera, e dalle sue dimensioni e caratteristiche era blindatissima.
    Pochi secondi di esitazione nei quali l'uomo ricordò cosa c'era all'interno di tale cassaforte ed a cosa quella “cosa” poteva servire, stando alle ricerche di Icero, e poi l'uomo digitò il codice richiesto.

    ---


    Praga, Impero di Sonsuza – Cinque ore dopo

    Il bambino riaprì gli occhi debolmente, trovandosi stranamente su una superficie morbida, simile ad un materasso. La luce dei lampadari al neon però lo costrinse a chiudere solo l'occhio destro, in quanto quello sinistro era coperto da quelle che sembravano essere bende bianche.
    Gli sembrò di aver dormito per un'eternità ed aveva la gola particolarmente secca: decise quindi di alzarsi per andare a prendere una di quelle capsule continenti acqua che aveva ammassato in fondo alla stanza, ma una fitta improvvisa di dolore lo costrinse ad abbassare di nuovo il busto. Tale sforzo però gli permise di notare che tutto il suo corpo, disteso su una branda, era avvolto da bende, eccezion fatta per piccoli spazi di pelle sui quali si erano già seccate sottili strisce di sangue. Stranamente, notò, piuttosto che essere tutte rosse alcune di quelle strisce sembravano nere, come inchiostro.
    Voltando leggermente il capo notò un tavolino vicino alla sua branca, sul quale erano riposti confusamente strumenti medici e medicinali, tutti macchiati in misura più o meno maggiore da sangue ancora liquido. Notò anche un rotolo di bende aperto la cui estremità pendeva quasi immobile oltre il bordo del tavolo, sopra a decine di altri rotoli completamente consumati.
    Alzando lo sguardo notò che, a pochi metri da lui, una figura umanoide stava lavorando su un tavolo molto grande dandogli le spalle. Tale tavolo, dalla forma a mezzaluna, aveva anche degli schermi in metallo bianco rialzati sui quali erano appesi e disposti strani disegni, che dalla forma ricordavano al bambino gli antichi dirigibili usati secoli fa.
    Sulle prime non riuscì a distinguerne i contorni di quella persona, ma dopo pochi secondi gli sembrò di riconoscere una sagoma famigliare: “P... Padre, siete voi?” domandò a mezza voce.
    La figura si voltò di scatto verso di lui, e nel vederla il bambino gridò per due motivi molto diversi: il primo fu di gioia nel rivedere il volto dell'uomo che aveva salvato alcuni giorni fa, con i suoi buffi capelli rivolti verso l'alto sulla fronte; la seconda fu di paura nel vedere le sue braccia. Seppur con ancora i ricordi confusi, il bambino credeva che quell'uomo avesse dei rami secchi e bianchi al posto delle braccia, ma adesso vedeva due tentacoli neri di metallo, saldati al suo corpo all'altezza delle spalle mediante quelli che sembravano bulloni conficcati all'interno della sua carne.
    “Padre, eh? No, non sono lui, ma sono felice di vedere che ti sei ripreso, piccolo!” commentò con un sorriso l'uomo, staccandosi dal tavolo e rivelando così, su di esso, due cumuli di polvere bianca dai quei spiccavano, ancora in parte solidi, i resti delle sue mani.
    “Signore... cosa è accaduto al vostro corpo?” domandò il bambino, cercando di alzarsi di nuovo dalla branda.
    L'uomo guardò le sue braccia, che con un incerto cigolio si sollevarono verso il suo volto, e poi cercò di spiegare: “Oh, purtroppo con le mie precedenti braccia non avrei mai potuto aiutarti... Dunque ho dovuto amputarmele e saldarmi queste vecchie protesi in acciaio, anche per evitare che quella sostanza bianca si espandesse nel mio corpo! Ho avuto diversi problemi, ma adesso posso sistemarti meglio i punti di sot...”.
    La voce dell'uomo dovette interrompersi all'eco di uno sparo nella stanza. L'uomo cadde sulle ginocchia emettendo versi incomprensibili dalla bocca, per poi abbassarsi in avanti mentre una ferita gli faceva perdere sangue dal fianco sinistro.
    Dietro di lui, dall'entrata blindata del magazzino si stagliavano due persone in tuta protettiva, una delle quelli con la pistola ancora sollevata. “Ah, dunque siete voi quelli che continuano a saccheggiare questo posto? Ci avete dato molti grattacapi, ma adesso vi abbiamo finalmente trovato!” commentò quasi trionfante una delle due guardie da sotto il casco trasparente.
    “Ehi, ma quello non è un bambino? Cosa ci farà qui?” domandò l'altra guardia indicando il bambino sul fondo della stanza, che fissava immobile il corpo gemente dell'uomo a terra.
    “Non lo so, ma non ha importanza! Bambino morto in più o in meno, dopo quanto successo... Il Sommo Imperatore Lasyrindes ci ha detto di eliminare ogni essere rimasto in questo laboratorio!” gli rispose la prima guardia sollevando le spalle con indifferenza, per poi premere di nuovo il grilletto e sparare un secondo colpo.
    Prima ancora che il proiettile andasse a conficcarsi nel muro una ginocchiata al petto scagliò la guardia contro il muro alla sua destra, mentre il bambino ritraeva la gamba scendendo a terra. La guardia tossì all'interno del casco protettivo, per poi rialzare la pistola e sparare di nuovo tre colpi verso il bambino, imprecando.
    Il piccolo però non si fece trovare impreparato e, afferrando al bacino l'altra guardia, se la mise come scudo contro i colpi dell'uomo che la colpirono al petto. La seconda guardia si accasciò al suolo mentre il bambino, con un balzo, saltò in avanti schivando i restanti proiettili e colpendo, con un calcio, la prima guardia al collo sfondandone il casco protettivo.
    La pistola cadde a terra assieme al braccio dell'uomo, mentre il bambino, ansimando per quanto aveva appena fatto e con alcuni tagli sanguinanti sotto il petto, si allontanò dai due corpi ormai deceduti.
    Ritornando dall'uomo che lo aveva salvato lo trovò appoggiato al tavolo in metallo mentre, con le dita meccaniche, si stava estraendo il proiettile dal fianco sanguinante. Lo sguardo dell'uomo però era rimasto per tutto il tempo incollato sul bambino, la bocca spalancata dallo stupore per quanto aveva appena visto.
    “P... Piccolo, mi pare di non averti ancora chiesto il tuo nome...” riuscì soltanto a dire l'uomo mentre lasciava cadere a terra il proiettile.
    “Louis, Signore... Posso farvi la stessa domanda?” chiese a sua volta il piccolo, alzando lo sguardo verso il volto dell'uomo.
    “Gren... Dottor Gren!” gli rispose l'uomo, con un largo sorriso in volto.


    E così finisce il capitolo di oggi, cari lettori.
    Dunque, avete avuto un primo assaggio della tragedia e degli effetti causati dal folle esperimento di Icero, quel tragico evento tanto temuto di ottanta anni fa. I danni ambientali e sociali si sono visti eccome dall'ispezione dell'Imperatore, che però ha trovato il laboratorio dell'allora Ministro integro e perfettamente intatto. Al suo interno però contava di trovare due soggetti (e penso che voi possiate capire di chi si tratti), cosa che però non è successo.
    Inoltre dalle sue parole si è scoperto che a tale tragedia hanno assistito anche Gaap, Isroth (ma nel suo caso si sapeva già), e soprattutto i genitori di Rayshin ed Esteban, ovvero Inamor ed Elger. Cosa ci facevano lì? E soprattutto, se all'inizio della storia erano tra i quaranta ed i cinquanta anni, come potevano esserci addirittura ai tempi di Icero?
    Inoltre abbiamo incontrato i giovani (ai tempi) Gren, ancora aspirante e sognatore scienziato dell'Impero, e Louis, piccolo figlio di un nobile dell'Impero. I due hanno avuto la fortuna di sopravvivere, più o meno, al danno di Icero riportando contaminazioni più o meno gravi al loro corpo. Salvandosi l'un l'altro la vita, Gren è riuscito, allora a creare il primo Ibrido, seppur per quanto lo abbiamo visto Louis da piccolo era ancora un "prototipo". Inoltre abbiamo anche visto la ragione per cui adesso il Dottor Gren ha dei bracci meccanici tentacolari al posto delle sue braccia naturali.
    Detto ciò, nel prossimo capitolo affronteremo l'incontro, anni dopo, tra l'ormai vecchio Dottore e Louis come membro dell'Ordine, mentre la guerra tra questo e gli altri Ibridi continua. Inoltre, assisteremo anche al combattimento tanto atteso tra Fari ed Elsmay, persino alla sua conclusione.
    Non mancate, dunque. Buona serata :flower: .
     
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